IL RICORDO DI MARCINELLE, ALLA FESTA DELL’EMIGRANTE, A NEMBRO

Tornano a casa gli emigranti di Nembro, e con loro tutti gli emigranti della Val Seriana. Per tanti mesi all’anno vivono all’estero, in Francia, Svizzera, Belgio, ma anche in Australia, Stati Uniti e Canada, ma per le vacanze estive, soprattutto ad agosto, quando si festeggia la Madonna dello Zuccarello, alla quale sono molto devoti, gli emigranti “made in Nembro” fanno ritorno nella loro terra di origine.

    

Spesso con i figli, nati all’estero, integrati nelle comunità locali, a scuola come nel lavoro, ma desiderosi di conoscere la casa natale dei genitori. Certo, oggi, le cose sono un po’ cambiate: gli emigranti che fanno ritorno a Nembro in estate sono sempre di meno.

Ciò non toglie che la tradizione rimanga ancora viva. E, così, da 28 anni l’associazione “Nembresi nel mondo”, diretta da Lino Rota e dalla moglie Mariuccia Abondio, in collaborazione con il Comune di Nembro e l’Ufficio Migranti della Diocesi di Bergamo, organizza la “Festa dell’Emigrante”, che anche quest’anno si è svolta il 7 agosto, vigilia della “Festa dello Zuccarello” (8 agosto). Un momento d’incontro, ma anche di commemorazione, per ricordare le vittime della tragedia mineraria di Marcinelle, a 67 anni dall’evento: l’8 agosto 1956, infatti, a “Le Bois du Cazier”, nelle miniere di Marcinelle, in Belgio, per un incendio a 1.000 metri di profondità morirono 262 minatori, di cui 136 italiani, e fra questi un bergamasco, tale Assunto Benzoni di Endine Gaiano.

In cabina di regia, nonostante i suoi 94 anni, proprio il nembrese Lino Rota. Fu lui, che già da qualche anno lavorava in Belgio, uno dei soccorritori chiamati a salvare più minatori possibili in quel disastro di Marcinelle. Ed è lui che, dopo la pensione, ha costruito, pezzo per pezzo, con materiali trasportati dal Belgio, il Museo della Miniera, situato nella piazzetta dell’emigrante, in via Lonzo, per mantenere vivo il ricordo di Marcinelle, facendo prendere coscienza del sacrificio di quegli uomini, morti mentre lavoravano. Una storia che non va dimenticata.

La cerimonia è iniziata con la Messa di suffragio, celebrata da don Sergio Gamberoni, direttore dell’Ufficio per la Pastorale dei Migranti della Diocesi di Bergamo, e proseguita con il ricordo dei minatori morti in miniera, i cosiddetti “gueules noires” (musi neri), ricordati uno per uno, chiamati per nome, con un rintocco di campana. Quindi, un momento di raccoglimento e di ricordo con le autorità locali.

In primis, il sindaco di Nembro Gianfranco Ravasio. A seguire, il consigliere provinciale con delega a Giovani e Sport Giorgia Gandossi, in rappresentanza della Provincia di Bergamo; il sindaco di Villa di Serio Bruno Rota; l’assessore ai Servizi Sociali di Endine Gaiano Maria Grazia Pettini, in rappresentanza del Comune di Endine Gaiano; Giancarlo Domenighini, dell’associazione “Nembresi nel Mondo”; l’esploratore e appassionato di ricerche naturalistiche Gianni Comotti; e il presidente dell’Ente Bergamaschi nel Mondo Carlo Personeni.

Presenti anche gli Alpini e gli Artiglieri di Nembro, come pure il gruppo folklorico “Le Taissine” di Gorno, in Val del Riso.

“Ogni anno sono qui, per ricordare una tragedia che non deve essere dimenticata – ha sottolineato Carlo Personeni – Una tragedia che deve continuare a insegnarci tante cose, soprattutto il sacrificio degli emigranti italiani di quel periodo, che con il loro lavoro all’estero, e le rimesse inviate a casa, hanno contribuito all’Italia di crescere. La “Festa dell’Emigrante”, quindi, non è solo una rievocazione, seppur commossa e partecipata, ma l’occasione per mettere in luce le varie problematiche che ha incontrato l’emigrazione italiana. Un fenomeno importante, che ha fortemente caratterizzato l’Italia nel Secondo Dopoguerra, in quanto i nostri emigranti hanno contribuito alla sua ricostruzione in periodi bui della sua storia, attraverso le loro rimesse e gli investimenti che hanno fatto nei loro territori di origine. Un’emigrazione che non conosce stagioni, però, perché continua anche oggi. E ancora i nostri emigranti continuano a contribuire allo sviluppo socioeconomico dei loro territori: sempre con le tradizionali rimesse, ma anche con l’indotto che generano quando ritornano occasionalmente come turisti nei loro paesi. E si badi bene non solo nella città di Bergamo, ma soprattutto nelle valli, territori che più di tutti hanno visto emigrare i nostri bergamaschi.

  

Può sembrare strano, ma l’emigrazione bergamasca non si è mai fermata, sia in tempo di Covid, che post-Covid. Ora, sono i giovani ad emigrare; tanti giovani che, non trovando degne prospettive professionali in Italia, vedono in altri Paesi europei ed extraeuropei migliori opportunità.

Non sono poche le storie di giovani che hanno realizzato i loro sogni all’estero. In verità, un tempo si emigrava per necessità, ora per trovare opportunità più confacenti ai propri studi. Compito dell’Ente Bergamaschi nel Mondo è adoperarsi per tenere saldo il legame con i nostri emigranti, per non far dimenticare le nostre tradizioni, per coltivarle e sostenerle con iniziative di promozione culturale, ricreativa e turistica”.

Per la cronaca, già il 30 luglio, Gianni Comotti ha organizzato un laboratorio didattico per i ragazzi dai 6 ai 12 anni, dal titolo “Calchi in gesso dei fossili e similazione di scavo in miniera”. Ma soprattutto venerdì 4 agosto, alle 21, presso la Sala  Bonorandi del Mupic (Museo delle Pietre Coti), si è svolto un momento di riflessione sul fenomeno migratorio, dal titolo “Cinema in miniera”: per l’occasione, è stato proiettato il film-documentario “Non far rumore”, di Alessandra Rossi e Mario Maellaro, un racconto intenso e toccante dell’infanzia negata ai figli di emigranti italiani in Svizzera, tra il 1950 e il 1980. Quindi, il racconto del viaggio in bicicletta da Nembro a Marcinelle (“Da miniera a …miniera”) di Ugo Ghilardi.

Interessante la proposta lanciata da Gianni Comotti nel suo intervento: “Nel prossimo futuro, è nostra intenzione aprire una nuova ala del museo, dove si andrà a riprodurre l’ambiente della baracca, dove alloggiavano i minatori in Belgio, ma anche i boscaioli in Svizzera, i carpentieri e i muratori, e anche gli operai, in Germania, Australia e nelle Americhe. Sopra la sede del museo, poi, si vuole installare un barcone in legno, a significare le nuove ondate migratorie, ricordando che anche noi, in passato, siamo stati come loro”.